FATTORI GENETICI E AMBIENTALI NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

Human Brain Mapping – New York - 18/22 giugno 2003

Nei giorni scorsi si è svolto a New York il congresso Organization for the Human Brain Mapping, che ogni anno fa incontrare alcune migliaia di ricercatori di tutto il mondo per discutere gli avanzamenti della ricerca sulle funzioni e la struttura del cervello utilizzando tecniche di imaging avanzate.
Il congresso, inaugurato con una lettura magistrale del premio Nobel Eric Kandel, ha trattato vari argomenti, tra cui attenzione, linguaggio, memoria, apprendimento, invecchiamento e percezione in persone sane e in persone affette da patologia, come ad esempio la malattia di Alzheimer e il suo stadio preclinico, il Mild Cognitive Impairment.
L'Alzheimer colpisce il 5-10% degli ultra65enni e il 30-35% degli ultra85enni. Fino a pochi anni or sono la malattia era diagnosticabile con certezza solo a decesso avvenuto. Recenti sviluppi tecnologici basati sull'uso della neuroimmagine hanno permesso di sviluppare indagini che permettono di riconoscere la malattia quando la persona è ancora in vita, anzi addirittura prima che manifesti i primi disturbi di memoria e di studiare il contributo dei geni e dell’ambiente sullo sviluppo della malattia.
Per una maggiore comprensione della malattia, è necessario studiare cosa accade nel cervello delle persone sane in presenza di alcuni fattori, per esempio fattori genetici, quale la presenza di almeno un allele e4 dell’apolipoproteina E, che sappiamo essere un fattore di rischio per l’Alzheimer.
Un gruppo di ricercatori dell’Università della California a Los Angeles ha presentato uno studio che dimostra che persone sane a rischio di sviluppare la malattia, poichè portatori di particolari geni (il non raro allele e4 di apolipoproteina E), hanno, nell’emisfero sinistro, una corteccia cerebrale più sottile rispetto ai non portatori, in corrispondenza del giro paraippocampale e della corteccia entorinale che sappiamo essere atrofica nei malati di Alzheimer. Questi risultati dimostrano che nel cervello delle persone a rischio di sviluppare la malattia, esisterebbero già alcune zone sofferenti, anche se ancora non a sufficienza per dare disturbi.
Un gruppo di ricercatori italiani del Centro Alzheimer dell’Istituto di Ricovero e Cura San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, in uno studio in collaborazione con l’Università di Kuopio e di Turku in Finlandia, hanno analizzato le immagini di risonanza magnetica di tre coppie di gemelli monozigoti discordanti per malattia di Alzheimer, in cui, cioè un gemello era affetto dalla malattia e l’altro era sano. I gemelli discordanti sono un modello di particolare interesse poiché, condividendo l’intero patrimonio genetico, l’unico fattore che può influire sul cervello, evidenziando delle differenze, è costituito dall’ambiente.
In particolare, i ricercatori hanno confrontato le immagini dei gemelli con quelle di un gruppo di persone sane di pari età, utilizzando degli algoritmi matematico-statistici che portando le immagini in uno stesso sistema di riferimento permettono di analizzare le differenze della struttura cerebrale tra gruppi di persone. È emerso che i gemelli malati, rispetto alle persone sane, perdono sostanza grigia in corrspondenza delle regioni temporali-mesiali (come nella malattia sporadica) e nelle regioni frontali. Anche i gemelli sani perdono tessuto cerebrale nelle aree frontali, mentre le regioni temporali-mesiali rimangono intatte. Poiché, da studi precedenti, sappiamo che le regioni frontali sono strettamente controllate dai fattori genetici, i risultati dimostrano che i fattori ambientali, come ad esempio la scolarità o il tipo di occupazione, sono più importanti di quelli genetici come causa di malattia di Alzheimer.
Lo stesso gruppo ha presentato un secondo studio in cui ha evidenziato, con la stessa tecnica, che l’età d’esordio della malattia gioca un ruolo importante sul cervello, poiché colpisce le regioni temporo-parietali nel caso di un esordio precoce (prima dei 65 anni) e le regioni temporali-mesiali, in particolare l’ippocampo, nel caso di un esordio tardivo.
Questa perdita di tessuto cerebrale in zone diverse del cervello rispecchia ciò che si osserva nella pratica clinica, ossia la manifestazione di sintomi neocorticali, come l’aprassia e l’afasia, in chi si ammala precocemente, e di disturbi di memoria nei malati ad esordio tardivo. La tecnica tuttavia, non è ancora utilizzabile nella pratica diagnostica quotidiana, per cui gli sforzi futuri saranno rivolti all’estensione dell’applicazione al caso singolo.
Il Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli è un istituto il cui scopo è di unire l’attività clinica di diagnosi e cura alla ricerca scientifica avanzata con lo scopo di fornire ai malati i trattamenti più moderni ed efficaci. Anche se centro di ricerca, l’attività scientifica è sempre esplicitamente rivolta al malato e per il malato. Da oltre dieci anni è in Italia l’unico centro riconosciuto dal Ministero della Salute specificamente dedicato alla malattia di Alzheimer.

La Repubblica
Bresciaoggi
Giornale di Brescia