SCOPERTO IL GENE DI LUNGA VITA?

La longevità è un tema di grande interesse nella ricerca biomedica come è anche dimostrato da due recenti pubblicazioni scientifiche riguardanti il ruolo che potrebbero avere alcune mutazioni genetiche nel processo di invecchiamento. 

Il primo lavoro è stato condotto da un gruppo di ricerca dell'Università del Connecticut. I ricercatori hanno scoperto un gene chiamato INDY (I'm not dead yet) la cui mutazione può duplicare la lunghezza di vita di un moscerino della frutta, Drosophila Melanogaster, senza produrre alcun effetto collaterale. Le mutazioni che si verificano in questo gene sembrano alterare il modo in cui l'organismo del moscerino conserva e utilizza l'energia, creando uno stato metabolico simile a quello indotto da una dieta ipocalorica.

Il secondo lavoro è molto più interessante poiché è stato condotto sugli esseri umani. Nel volume di Febbraio, del Journal of Gerontology (J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2001; 56:M75-8) , il neurologo , Giovanni B. Frisoni (responsabile del Laboratorio di Epidemiologia e Neuroimaging, IRCCS San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia) in collaborazione con un gruppo finlandese, decreta un nuovo e importante avanzamento nella ricerca biomedica sulla longevità

Gli studiosi hanno dimostrato che le rare persone che arrivano all'età di 100 anni o la superano, sono dotati di un particolare gene di longevità."L'apolipoproteina E è una proteina prodotta da ogni persona e coinvolta nel trasporto dei grassi (colesterolo e trigliceridi) nel sangue" spiega Frisoni. " Non tutte le persone però producono la medesima forma della proteina. Le proteine sono molecole simili a catene o gomitoli costituite da unità piccole dette aminoacidi, dei quali ve ne sono 20 tipi diversi. L'apolipoproteina E è composta da 299 aminoacidi dei quali 297 sono sempre dello stesso tipo e nella stessa posizione, mentre in due punti del gomitolo possono essere presenti aminoacidi diversi che portano a tre varianti della proteina, dette e2, e3, ed e4. Queste tre varianti sono normali e funzionanti, ma sono più o meno efficienti nel legame e nel trasporto dei grassi ed ogni persona ne può produrre al massimo 2 tipi diversi. 

Ad esempio, la forma e4 è meno capace di legare il colesterolo e le persone che producono solo questa forma sviluppano sovente malattia coronarica e muoiono di infarto". Quale tipo di Apolipoproteina E viene prodotto, come per tutte le proteine dell'organismo, dall'albumina all'insulina, è scritto nel DNA di ogni persona. Oltre alla funzione di legare il colesterolo, le tre varianti dell' apolipoproteina E sembrano avere effetti sull'organismo, alcuni dei quali cominciano solo da poco ad essere conosciuti.

I ricercatori italiani e finlandesi hanno studiato una popolazione di eccezionale interesse. All'inizio degli anni novanta, un giovane medico finlandese, Jukka Louhija, ha contattato, visitato e prelevato campioni di sangue a tutte le persone finlandesi che avevano compiuto i 100 anni di età. Solo 6 centenari sul totale di 185 rifiutarono di essere visitati. Poiché era particolarmente interessato allo studio del metabolismo lipidico, fu per lui più che naturale studiare la produzione delle tre forme dell'apolipoproteina E nei suoi vecchi connazionali. La rilevanza dei risultati preliminari, suggerì l'importanza di ulteriori ricerche. Per queste ragioni, Jukka Louhija, decise di prendere contatti con Frisoni, che in precedenza aveva già indagato i correlati genetici della malattia di Alzheimer.

"Quando un paio di anni fa, Jukka mi propose di approfondire lo studio sui suoi centenari" prosegue Frisoni, "capii subito che si trattava di dati scientifici di eccezionale valore. Poiché in passato avevo studiato l'effetto delle forme e2 ed e4 dell'Apolipoproteina E come fattori che rispettivamente diminuiscono e aumentano la suscettibilità a sviluppare la malattia di Alzheimer e poiché un gruppo francese aveva ipotizzato che la forma e2 della proteina avesse un ruolo nella longevità dell'uomo, mi misi subito a cercare un'associazione fra le diverse forme della proteina e l'estrema vecchiaia nei dati raccolti da Jukka". 

I risultati non tardarono ad arrivare. Quando Frisoni raggruppò i centenari in tre fasce di età, 100-101 anni, 102-103 e 104 e più anni, vide che la forma e2 era progressivamente più frequente con l'aumentare dell'età, andando dal 5 al 15 al 25% nei tre gruppi, come ad indicare che chi non produce questa forma della proteina tende a morire prima e a non raggiungere le età estreme della vita.

Come agisce la forma e2 dell'apolipoproteina E? " La variante e2 è stata collegata a una serie di eventi positivi sulla salute dell'organismo come livelli inferiori di colesterolo nel sangue, minor rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, disturbi di memoria e malattia di Alzheimer. " Spiega Frisoni. " Pare inoltre che sia associata a un miglior funzionamento del sistema endocrino - il sistema di trasmissione dei messaggi fisiologici dal cervello agli altri organi del corpo umano e viceversa- e, in generale, a una maggior resistenza delle cellule e dei tessuti agli insulti del tempo e alle malattie in genere". Un'azione di particolare interesse sarebbe rappresentata dalla maggiore efficienza della forma e2 nel riparare i danni cerebrali in caso di malattie degenerative del cervello, di traumi cranici o di disturbi della circolazione saanguigna cerebrale.

E' stato scoperto l'elisir di lunga vita? E' necessaria molta cautela" ammonisce Frisoni " nell'interpretazione di risultati degli studi osservazionali, quelli in altre parole in cui non viene effettuato alcun intervento terapeutico. E' necessaria ancora molta ricerca di base che in laboratorio dimostri come la forma e2 agisce sulle cellule dell'organismo. Solo quando il meccanismo d'azione sarà chiarito si potrà pensare alla sintesi e - forse - alla somministrazione della proteina all'uomo". Quindi per gli appassionati dell'anti-aging o per coloro che semplicemente non gradiscono i segni dell'età, vale ancora il detto: " se vuoi vivere a lungo, scegliti con cura i genitori".

L'Arena